Dove | Portoferraio - Loc. San Giovani |
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Visita guidata | L’accesso agli scavi archeologici è regolamentato e non libero. Durante il periodo di riapertura degli scavi, è possibile effettuare visite guidate previa prenotazione obbligatoria. |
Contatti | tel. 327 8369680 - www.villaromanalegrotte.it |
Gli scavi archeologici presso il sito del podere di San Marco (San Giovanni), nella rada di Portoferraio, sono stati avviati nel 2011, grazie alla disponibilità della proprietà del terreno che lo ha messo a disposizione dell’Università di Siena.
Durante questa campagna di scavi è stato individuato un paesaggio situato fra la fine dell’attività siderurgica etrusca e romana e la costruzione della villa delle Grotte.
A causa della difficile reperibilità del combustibile necessario per la lavorazione del ferro infatti, nel 100 a.C. all'Elba l'attività di estrazione di questo minerale, che era stata portata avanti fin dagli etruschi, cessò. L'area attualmente sede degli scavi venne trasformata quindi in una zona agricola di grande pregio, con colture di vigneti, oliveti, frutteti.
All'interno della villa, la parte della pars fructuaria era dedicata alla produzione e all'immagazzinamento, era collocata ai piani inferiori; i piani superiori erano invece adibiti a scopi abitativi, con stanze e ambienti riccamente decorati e affacciati verso il mare.
La villa, costruita alla fine del II secolo a.C., risale ad alcune generazioni prima della grande villa delle Grotte e di cui diventerà in
seguito la pars rustica, funzionale alla conservazione del vino e delle derrate alimentari. Venne poi abbandonata a causa di un incendio nel I secolo d.C.
La parte residenziale della piccola villa rustica era decorata in maniera sobria ma raffinata. Queste decorazioni rientrano a pieno titolo nell’orizzonte architettonico usualmente definito “I stile”, che intende riprodurre l’immagine sia delle austere e maestose mura in opera quadrata sia dei lussuosi pannelli o lastre di marmi preziosi e variopinti, presenti negli edifici monumentali e costosi. I riquadri potevano perciò essere dipinti in rosso, nero, giallo, verde. Il modulo era, più o meno, lo stesso partendo dall’alto: sotto il soffitto si trovava una cornice in stucco aggettante; nella fascia mediana si trovavano i pannelli dipinti; la fascia inferiore era, di solito, di colore giallo.
Nella cantina veniva prodotto il vino destinato alla mensa degli autorevoli personaggi che costruirono e utilizzarono la villa delle Grotte (costruita successivamente) per i loro sofisticati relax: letture, conferenze, spettacoli, concerti, dissertazioni filosofiche, raffinati banchetti. Nella cantina sono stati rinvenuti sei dolia defossa che hanno permesso di stimare una produzione vitivinicola importante (circa 9000 litri) e dimostrato l’eccellente livello della tecnologia enologica raggiunta dal mondo romano.
In alcune anfore sono stati recentemente rinvenuti anche semi di melo fermentati, probabilmente utilizzati per la produzione di aceto di mele.
Da alcuni marchi di fabbrica trovati sui doli emerge la conferma della appartenenza della fattoria e villa delle Grotte al patrimonio dei Valerii Messallae, potente famiglia con interessi economici (e proprietà) sulla costa. Marco Valerio Messalla era il tipico aristocratico del suo tempo: condottiero (come Cesare), senatore (come Cicerone), protettore di lettere e arti (come Mecenate), fondatore del "Circolo di Messalla". La proprietà sarebbe passata poi al figlio adottivo Aurelio Cotta Massimo Messalino, che avrebbe avuto come ospite il poeta Ovidio prima della partenza di quest’ultimo per l’esilio nel Mar Nero.
I bolli hanno consentito inoltre di risalire al nome del produttore del vino: Hermia, schiavo di proprietà di Marco Valerio, che oltre a imprimere il suo marchio sui doli appone la sua “sigla” anche in alcune tegole accompagnandola con l’immagine di un delfino.
Nella letteratura antica sono numerosi gli episodi di amicizia tra questo animale e l’uomo, ambientati in diverse città greche. Plinio, in particolare, racconta la storia, ambientata a Iasos, in Asia Minore, di un bambino di Hermia. Questi era solito giocare con un delfino fra le onde ma annegò a causa di una tempesta improvvisa. Il delfino, per il dispiacere, si lasciò morire sulla spiaggia. Probabilmente lo schiavo Hermia, che era colto, voleva evocare la propria terra d’origine.
La suggestione è accresciuta dal fatto che la rada di Portoferraio è usualmente visitata da cetacei di diversa specie, tra i quali i delfini.
Durante la sesta campagna di scavi, l’equipe di archeologia e geologi delle Università di Siena, Firenze e Pisa ha riportato alla luce i resti di uno scheletro umano, seppellito sui crolli della villa. Probabilmente la vittima era andata nell’edificio dopo il crollo, nel tentativo di recuperare materiali da costruzione e altri oggetti che potevano essere utili e poi sarebbe morto in una ulteriore fase di crollo della villa e quindi frettolosamente seppellito in una piccola fossa, poco profonda e senza nessun ornamento funebre.
L’ottava campagna di scavi archeologici nel sito della villa romana “rustica di San Giovanni” ha regalato scoperte incredibili. Sono stati portati alla luce intonaci in stile pompeiano e tutto l’apparato decorativo della villa riesumato è in corso di restauro presso il Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali dell’Università di Siena.
Oltre a nuovi segmenti murari e tracce di fornaci, sono spuntate una bellissima matrice di lucerne, un anello con castone e un frammento di lastra decorativa in terracotta con suonatore di Aulos.
L’aggettivo rustico per la Villa di S. Giovanni viene quindi a sfumarsi sempre di più, poiché col proseguire degli scavi si delinea il profilo di una casa signorile con attorno i vani dedicati ad alcune produzioni artigianali.
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